3_La via dei simboli (11/03/15)


"Come creare, dentro i parametri linguistici e dinamici impostati negli anni Venti, un valore esplicitamente 'comunicativo' dell'architettura e allo stesso tempo togliere al simbolo la sua connotazione retorica?"
A. Saggio, Architettura e modernità. Dal Bauhaus alla Rivoluzione Informatica

La seconda metà degli anni '50 è interessata da notevoli progressi nel campo dell'ingegneria strutturale; innovazioni costruttive e inediti utilizzi dei materiali consentono una nuova impostazione del progetto strutturale, che passa da un approccio induttivo ad uno deduttivo, sperimentale. Le inedite libertà strutturali operano una vera e propria liberazione della forma nello spazio: esemplificative a riguardo sono le architetture di Eero Saarinen, che sperimentano i limiti della costruzione in calcestruzzo armato al servizio di spazi fluidi, plastici.
Lo svincolamento dello spazio dai precedenti limiti strutturali apre la strada al superamento di uno dei più stringenti tabù del Modernismo: l'aderenza alla funzione e il conseguente rifiuto del simbolo.
La componente "rappresentativa" dell'architettura delle cattedrali gotiche, che ha lasciato il posto al funzionalismo di matrice industriale, torna in questi anni a manifestare una nuova e diversa urgenza. L'anelito ad un nuovo approccio monumentale, sepolto sotto decenni di rappresentazione propagandistica tesa alla celebrazione dei regimi statali spesso dittatoriali, si carica di nuove ragioni interconnesse allo sviluppo di nuovi assetti sociali, nuovi approcci allo spazio, nuove interconnessioni tra l'edificato e il paesaggio. Il punto di svolta non potrà, quindi, che essere la vittoria di Jørn Utzon del concorso per la Sidney Opera House, nel 1956: come analizzato da Saggio nel suo articolo "La via dei simboli"(su CoffeeBreak), Utzon è la persone in grado di riesumare l'approccio comunicativo/simbolico dell'architettura in virtù di alcuni fattori: il suo approccio alla monumentalità intesa come celebrazione del rapporto tra uomo e natura, imprinting di stampo nordeuropeo già presente nelle opere di Asplund e mutuato dall'influenza di Aalto, l'interesse verso le forme biomorfe e l'attenzione al significato sociale dell'edificio.
Quest'ultimo aspetto sembra davvero fondamentale per il riscatto dell'architettura rappresentativa ed è il reale punto di svolta per la ricerca di un'architettura dell'informazione, orientata, cioè, al coinvolgimento dei propri fruitori sia sul piano spaziale che su quello emotivo, metaforico. Come scrive, infatti, Saggio il nuovo auditorium di Sidney progettato da Utzon è "un monumento di una collettività".
Il procedimento è lo stesso che condurrà, quarant'anni dopo, a fare del Museo Guggenheim a Bilbao di Gehry un vero e proprio centro proiettivo della socialità: "Gehry capisce che il nuovo monumentalismo è un fatto civico, collettivo, della gente". E, possiamo scoprire con sorpresa, è lo stesso spirito che ha guidato Terragni nella realizzazione della Casa del Fascio di Como: un rovesciamento del programma celebrativo al servizio del fruitore, un linguaggio razionalista mediato in base al contesto (le facciate del prisma dell'edificio, niente affatto libere, si aprono in modo disuniforme a registrare le diversità del panorama urbano su cui affacciano); un'architettura fondamentalmente "democratica" come monumento dell'ideologia fascista.

La Casa del Fascio di Terragni in un manifesto della Biennale di Venezia del 2012