1_Modernità, crisi e information technology (25/02/2015)


Modernità
"Neon and tatami can coexist to the destruction of neither. This, damn it, is the conceptual triumph that may save the world, if there's any air left to breathe."
[C. Moore, Impressions of Japanese architecture]

Il concetto di modernità secondo Charles Moore, sul finire degli anni ‘70, era riassunto in questo evento: che all'interno della cultura giapponese neon e tatami potessero coesistere, in una “immacolata collisione” che desse vita ad una nuova estetica.
Se, come osservato all'interno della prolusione al corso, la modernità è un "atteggiamento ricorsivo" che scaturisce dal bisogno di risolvere una crisi del proprio tempo, appare evidente come per i post-modernisti il significato della propria contemporaneità fosse da ricercare ben lontano dall'"invariata replica di edifici culturalmente neutrali" dell’International Style, e bensì nel libero movimento delle idee e delle immagini tra le diverse fasi della storia (e le diverse culture) e nella loro collisione; una modernità “piena di possibilità”.

Crisi
Il primo passaggio doveva, quindi, essere lo svincolamento da una concezione dell’architettura “generale e riduttiva” in favore di una “inclusiva e specifica”. La provocazione di Robert Venturi relativa alla ricerca di un’architettura di addizione (“e-e”) piuttosto che di esclusione (“o-o”)1 ben rispecchia questo anelito alla complessità: la crisi può, in questo caso, essere rinvenuta all’interno dello stesso approccio alla crisi.
Scrive infatti Venturi, citando  Christopher Alexander: “Gli architetti Moderni, tranne poche eccezioni, hanno sempre rifiutato l’ambiguità. Ma ora la nostra posizione è diversa: «I problemi aumentano di quantità, complessità e difficoltà, ed al tempo stesso si succedono più rapidamente di prima» […] ancor oggi, sebbene più sottilmente che in precedenza, si razionalizza per semplificare.
E ancora Paul Rudolph, sempre citato da Venturi in riferimento alle implicazioni dell’”insegnamento” di Mies Van der Rohe: “Non si possono risolvere tutti i problemi.. È davvero caratteristico del Ventesimo secolo che gli architetti siano estremamente selettivi nel determinare quali problemi essi vogliano affrontare.” Conclude Venturi: “L’architetto […] può escludere fattori importanti solo correndo il rischio di separare l’architettura dall’esperienza della realtà e dai bisogni della società.” Sulla stessa lunghezza d’onda si pone, ancora, Moore, parlando delle nuove difficoltà dell’architetto della West Coast: “He is faced with problems which have never existed for him before, and it is incumbent on him to understand them and the influences acting on him, to be able to crystallize their meanings for himself and only then to be able to push them to the back of his mind, to practice «creative forgetfulness» so that he is free to create architecture which will be the answer to these problems”.2
È particolarmente efficace quest’idea di una dimenticanza creativa (locuzione proveniente da Jean Labatut, già maestro di Moore) che consente di assimilare e poi “rigettare nei recessi del proprio pensiero” la crisi, in modo da poterle più lucidamente dare una soluzione.

 Information technology
Se per Venturi l’unica risposta plausibile alla crisi era l’”ambiguità”, scopriamo oggi che la parola chiave è diventata “flessibilità”, intesa tanto a livello funzionale quanto, e soprattutto, a livello di significato (e più precisamente dei significati): il nuovo strumento di lotta alla crisi scopriamo poter (e dover) essere l’informazione. Più precisamente, come scrive Saggio nel suo articolo “Architettura come sistema vivente”, “Una informazione che penetra nei nostri database, crea gli algoritmi dei nostri progetti, determina inedite possibilità di mutazione e adattamento topologico, che segna la possibilità di gestione, trasformazione, sviluppo anche futuro dell’edificio, che guida e struttura i nostri sistemi territoriali da una parte e dall’altra organizza la fabbricazione e il cantiere. Ma anche una informazione che si nebulizza nello spazio, uno spazio che non è fatto più come pensavano i nostri padri per metterci dentro l'oggetto di architettura, ma per intessere relazioni aperte, dinamiche interattive.3
Il perchè sia proprio l'informazione (e l'information technology) lo strumento in grado di realizzare una nuova, necessaria modernità ce lo spiegano, ancora una volta, i post-modernisti: quale modernità riassume in sè più "possibilità" di un sistema infinitamente programmabile come quello configurato dall'information technology? E diversamente, invece, quale altra potrebbe ignorare l'impatto dell'applicazione dell'informatica nella società contemporanea senza configurarsi come separata "dall'esperienza della realtà"?

1 Venturi 66 - Robert Venturi, Complessità e contraddizione nell'architettura, 1966
2 Charles Moore, You have to pay for the public life: Selected Essays of Charles W. Moore edited by Kevin Keim, The MIT Press. Cambridge, Massachusetts, 2004
3 Saggio 13, Architettura come sistema vivente - Antonino Saggio, "L'architetto" magazine, 2013

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